Carità in opera contro la povertà sanitaria

DALL'AMORE DI UN FRATE PORTINAIO

La visita presso il poliambulatorio di Opera San Francesco si trasforma in un vero e proprio incontro, di quelli che si ricordano. Perché come ci racconta suor Anna “il bisogno del malato è il bisogno di tutti”.


“Opera San Francesco nasce dal carisma di fra Cecilio Cortinovis, frate portinaio in via Piave a Milano e oggi venerabile, e questo ha determinato il clima che si vive qui rispetto a tante altre strutture che si occupano di povertà”.
A raccontarci la storia e la vita di questa importante realtà milanese è suor Anna, medico pediatra, responsabile della struttura.
“Fra Cecilio non era neanche prete, ma ha vissuto fino in fondo il suo desiderio di dare una risposta a chiunque si presentasse alla sua porta, senza rimandare mai nessuno a mani vuote. Un impegno impossibile se non fosse nato dalla testa di un Santo!”

Un impegno che si riflette nello sguardo di suor Anna, capace di abbracciare ogni giorno primari e barboni, di giocare con i cani della pet terapy e di commuoversi quando ci parla di alcune delle tante persone incontrate in questi anni. Sì, perché nel 2010 è stato inaugurato il nuovo poliambulatorio, che dal 2005 ha registrato oltre 56.000 cartelle e che offre assistenza a quanti si presentano con lo stesso spirito di fra Cecilio.

Chi viene presso la vostra struttura in cerca di aiuto?

Assistiamo una realtà multirazziale, perché il povero alla nostra porta non è più solo quello di Milano. I pasti che distribuiamo sono circa 2.000 a mezzogiorno e 1.300 la sera, abbiamo aperto le docce per uomini e donne e un guardaroba che riveste le persone, sia da un punto di vista dell'ordinario, del quotidiano, sia di ragazzi che sono venuti a chiedere il vestito per la laurea! E noi cerchiamo di rispondere a tutti sulla base del loro bisogno: è questa attenzione che ci identifica.

Per quanto riguarda l'ambulatorio che tipo di attività svolgete?

L'ambulatorio lo distinguerei così: c'è un'attività ordinaria che dà la risposta al paziente che arriva con un suo bisogno di salute. C'è la risposta della medicina generale, ma anche la possibilità della specialistica, fino ad arrivare agli esami di primo livello: esami del sangue, eco, elettrocardiogramma, ecocardio, ecc… legati alle specialità. Abbiamo anche una chirurgia ambulatoriale e a breve avremo la gastroscopia, che non nasce dal fatto che non si riesca a trovare sul territorio, ma per il fatto che per alcuni è molto difficile capire cos'è una gastroscopia e a volte vengono mandati indietro perché inalberano una lotta greco romana quando cercano di mettergli un tubo in bocca o nel sedere; l'ospedale non è attrezzato perché non hanno la possibilità e la pazienza di spiegare che quell'esame è necessario, a cosa serve... Non è un problema di mediazione culturale (noi avremmo bisogno di 160 mediatori), la mediazione è l'umano, cioè accettare un incontro umano. Il bisogno che mette in luce un posto di confine è il bisogno di tutti, solo che lì è come se fosse sotto una lente di ingrandimento. Qui diventa indispensabile per la cura, ma io mi chiedo quanto non lo sia per la normalità… L'altro aspetto invece non riguarda quello che noi chiamiamo l'ordinario, ma è un punto di osservazione straordinario. L'attività quotidiana pone delle domande, e spesso la risposta non è rintracciabile, quindi te la devi inventare. Da lì nascono i nostri progetti su determinate problematiche... ma molto spesso prima che noi arriviamo in fondo alla domanda è la provvidenza che ci crea una possibilità di risposta. Questo ci permette di non andare incontro al domani con angoscia, ma con una speranza e una serenità che alle volte commuove noi per primi. Noi partiamo con un'ipotesi, ma se c'è un bisogno la risposta arriva; quando abbiamo avuto l'aumento del bisogno da parte di italiani e aventi diritto, per esempio, si è concretizzato il progetto che con Banco Farmaceutico e Comune ci ha fatto avere i farmaci.

In cosa consiste il contributo di Banco Farmaceutico?
L'aspetto più importante e interessante è senza dubbio la relazione che, grazie anche a Banco Farmaceutico, si è creata tra farmacista clinico e medico. Questo forse è uno dei pochi posti in cui il farmacista può contestare il collega medico e chiedere se è sicuro di quello che sta facendo. Perché controllando tutte le ricette, tutte le terapie è in grado di verificare che siano coerenti e ragionevoli. Il medico qui deve disabituarsi a pensare al paziente come proprio, quindi alle volte non guarda tutta la cartella, mentre il farmacista che deve erogare il farmaco ha proprio il compito di controllare le terapie. Non è un mero dispensatore. Questo ha ridotto gli sprechi, per esempio, ma soprattutto ha creato un rapporto particolare con il paziente che capisce che c'è un'attenzione a lui, e questo non è poco. Ho sentito i farmacisti, più pazienti di me, contrattare la cura con il paziente, perché alle volte sono loro che si rendono conto se il paziente ha veramente capito o non ha capito quello che deve prendere. Quindi non è soltanto dargli la compressa, ma spiegargli cosa sta prendendo, vedere se è ricettivo, chiarire i dubbi, alle volte negargli delle cure se non ha fatto le visite di controllo. Se uno dovesse fare i conti dalla scatoletta che Banco Farmaceutico eroga alla efficacia sul paziente devo dire che la farmacia sta facendo un lavoro egregio. Per esempio, se uno viene con una ricetta di psicofarmaci non passa indenne, deve avere il dosaggio: siccome molti in realtà ne sono dipendenti, se tornano troppo frequentemente gli viene negato il farmaco e vengono deviati verso la nostra psichiatria. Io ho sentito sia i farmacisti volontari che il farmacista referente dire al paziente “questo farmaco non te lo do perché ti fa male, e siccome ti voglio bene non te lo do”. Poi c'è stato anche uno che è tornato giorni dopo a chiedere “ma davvero mi vuoi bene?” Ed è stato commovente.

Immagino siano tantissime le storie che ci potrebbe raccontare...
Le storie di pazienti sarebbero troppe, invece a me commuove l'impatto che abbiamo sui territori "altri". Abbiamo cominciato a collaborare con il reparto Oncologia dell'ospedale Sacco, noi fissavamo gli appuntamenti e loro sapevano che il giovedì arrivavano i nostri pazienti. Uno di questi giovedì arriva un homeless e loro lo prendono in carico. Cercano il biglietto della prenotazione, non lo trovano, lo frugano ma non si trova. Fa niente, lo prendono e lo portano dentro, lo lavano, gli danno la colazione, vestiti puliti, quindi gli fanno un check-up che, mi racconta la primaria, “mancava solo la visita ginecologica”... Però non trovano niente, quindi ci chiamano per avere spiegazioni... ma noi quel giovedì non gli avevamo mandato nessuno. Alla fine si è scoperto che questa persona dormiva nei seminterrati del Sacco da anni senza che nessuno lo sapesse, e tutte le mattine usciva dal Pronto Soccorso... quella mattina si è sbagliato e si è ritrovato in Oncologia! Sempre la primaria ha aggiunto: solo qualche mese fa lo avremmo allontanato come un problema, lo avremmo scacciato, invece improvvisamente ci siamo accorti di aver cambiato atteggiamento. Questa secondo me è una cosa grande ed è quello che mi fa capire che si può osare; ho meno timore rispetto alle mie consorelle perché la provvidenza va sfidata e noi invece abbiamo smesso di sfidarla, siamo diventati strateghi… giusto eh, anche i santi erano strateghi, però andavano un po' oltre, perché sapevano che c'era altro.