Carità in opera contro la povertà sanitaria

CHI SI PRENDE CURA
DEGLI ANZIANI “INVISIBILI”?

CHI SI PRENDE CURA
DEGLI ANZIANI “INVISIBILI”?
Di Peppino
Zola

Chi vive veramente, riesce a vedere anche i fatti e le persone “invisibili”, quelle di cui l’informazione corrente non parla e non scrive, quelle che sono fuori dagli schemi normali delle emarginazioni, quelle che vivono nelle “zone grigie” della nostra società. E’ ciò che è accaduto agli amici del Banco Farmaceutico, i quali, essendo attenti a tutta la vita, hanno visto che l’Opera Fratelli San Francesco di Milano ospita ed accoglie una dozzina di “anziani che non hanno nulla”, perché le vicende della vita li hanno portati ad essere fuori dai criteri usuali in base ai quali gli Enti pubblici, Comuni in testa, cercano di aiutare le persone in difficoltà: non hanno i requisiti per accedere alle RSA, sono malati ma autosufficienti, sono poveri e soli. Sono “invisibili”, ma ci sono e riescono a sopravvivere solo grazie all’opera generosa e silenziosa di persone ed associazioni che non hanno dimenticato che cosa significhi la carità.

Si tratta di persone che sono fuori dai parametri soliti con i quali le istituzioni, che hanno dimenticato cosa sia la sussidiarietà, pensano di potere aiutare la gente. Quanto “visto” dai nostri amici merita qualche considerazione.
Innanzi tutto, occorre prendere atto che, obiettivamente, gli enti pubblici non hanno i mezzi (e la cultura) per adeguarsi ai veri bisogni delle persone, che di solito vengono studiati nei convegni e nelle università, ma non vengono “visti” attraverso il concreto impatto con la realtà, che quasi sempre supera ogni pensiero ed ogni ipotesi astratta. Più il potere pubblico diventa centralista (il che sta avvenendo un po’ ovunque) e meno è capace di percepire le reali necessità umane ed economiche delle persone. Si tratta di una constatazione che ogni mente libera da pregiudizi ideologici dovrebbe accettare. Soprattutto, dovrebbe prenderne atto.

In altre parole, i servizi pubblici non riescono, per loro natura, ad arrivare ovunque. Gli inevitabili iter burocratici lo impediscono, direi quasi naturalmente. Allora, occorre cambiare direzione. E la direzione è quella di avvalersi, senza tentennamenti e senza ipocrisie, del principio di sussidiarietà, perché le realtà più vicine alle persone sono anche più pronte ad accorgersi dei bisogni reali ed a rispondere ad essi.

Due sono le realtà fondamentali, sulle quali basare, una volta per tutte, le politiche e gli interventi a favore delle persone: la famiglia e l’associazionismo che gira intorno, a vario titolo, alla famiglia.
E’ ora che ogni politica sociale abbia come riferimento essenziale e centrale la famiglia, perché è in questa istituzione (così riconosciuta dalla nostra stessa Costituzione, agli articoli 29 e seguenti) che si vedono subito i bisogni. E’ in una famiglia che nasce e vive una persona disabile, è nella famiglia che immediatamente si percepisce se un giovane (o anche un adulto) si sta avvicinando al dramma della droga; è nella famiglia che si esperimenta immediatamente il problema della povertà; è nella famiglia che si vive da subito il problema relativo alla salute. Ma allora, ogni intervento pubblico deve avere come riferimento la famiglia in quanto tale ed intorno ad essa “vedere” ogni bisogno e programmare ogni intervento.

Quando mi è capitato di occuparmi amministrativamente di queste problematiche, istituimmo il servizio “anziano in famiglia”, con il quale davamo un aiuto economico a chi fosse in grado di mantenere in famiglia un anziano invece che ricoverarlo in una struttura: molte famiglie accettarono la nostra proposta, il che comportò anche un notevole vantaggio economico per il Comune. Purtroppo quel servizio non è stato portato avanti. Purtroppo, malgrado le affermazioni elettorali circa la famiglia, la politica, finora, non è riuscita a recepire questo punto di vista, il che rende sempre più difficile inseguire i nuovi bisogni che una società in rapido cambiamento continuamente crea.
Poiché anche la famiglia, a causa del mancato suo sostegno, non riesce ad arrivare sempre tempestivamente a soccorrere i bisogni, occorre che, sempre in base al principio di sussidiarietà, ci si rivolga anche all’associazionismo famigliare, favorendone il formarsi di una “rete” che, nel suo complesso, riesca a “vedere” con tempestività il formarsi di problematiche che portano molte persone (sempre di più, purtroppo) a rendersi, appunto, “invisibili”.

In questo contesto, vi è ampio spazio perché dei nonni possano aiutare altri nonni o, comunque, altri anziani. Ad esempio, si potrebbe pensare a delle “comunità alloggio” per anziani poveri e soli, ma ancora autosufficienti e queste strutture potrebbero essere seguite da altri “nonni”, i quali, è bene ricordare, già oggi stanno compiendo una grandissima funzione di welfare in molti campi, spesso disconosciuti dai poteri pubblici. Pensare ad anziani che aiutino altri anziani potrebbe essere un modo molto efficace ed innovativo per fa riemergere le persone “invisibili” di cui abbiamo parlato all’inizio di questa nota. L’associazionismo potrebbe sostituire quell’ambito sociale (legato per lo più al mondo agricolo) che una volta faceva in modo che nessuno diventasse “invisibile”.

Non dobbiamo accettare fatalisticamente le attuali situazioni di emarginazione. Si può cambiare: purché si abbandonino le ideologie che frenano le novità e si riscoprano le dimensioni della solidarietà, che ha le sue radici nella grande parola cristiana, che è la carità. L’esperienza del Banco Farmaceutico è un grande esempio che va in questa direzione.